The great resignation – Cos’è e come fermarla

I dati pubblicati qualche tempo fa da Aidp, l’Associazione Italiana Direzione Personale, sono inequivocabili: le dimissioni volontarie interessano il 60% delle aziende, riguardano diverse posizioni e coinvolgono principalmente le aree dell’informatica e del digitale, la produzione, il marketing e le vendite.

A scegliere di cambiare lavoro sono soprattutto i lavoratori fra i 26 e i 35 anni, perlopiù impiegati in aziende del Nord Italia. Ad alimentare la cosiddetta “great resignation” concorrono in modo particolare la ricerca di uno stipendio più soddisfacente e la speranza di trovare un migliore equilibrio fra vita privata e lavoro.

Il mondo del lavoro “post” pandemia riflette cambiamenti segnati da fattori sempre più rilevanti come lo smart working e il work-life balance, e ora deve fare i conti con questa nuova variabile. Ciò che si legge fra le righe di questo fenomeno in forte sviluppo è l’evidente solco venutosi a creare fra gli esponenti della generazione “baby boomer” (i cinquantenni di oggi), che spesso occupano le posizioni al vertice all’interno delle aziende, e quella dei millennial e della Generazione Z, i più giovani.
Le motivazioni che inducono alle dimissioni volontarie non sono sempre del tutto scontate.

È però certo che i lavoratori italiani hanno condotto, in questi ultimi mesi, una profonda riflessione su prioritàcarriera e obiettivi professionali, riportando al centro l’interesse per il benessere, il coinvolgimento e i valori fondanti della vita. Non solo lavoro, insomma.

Sono dunque varie le ragioni principali per cui i lavoratori scelgono di lasciare un’organizzazione, e spaziano dalle relazioni professionali con i colleghi e i superiori all’aumento dello stipendio, dalla ricerca di un impiego più interessante ai valori aziendali in cui identificarsi, dal tempo da dedicare a sé stessi alla possibilità lavorare da remoto, dalle opportunità di carriera a quelle di specializzazione in un ambito di interesse, dal clima aziendale al desiderio personale di cambiare e fare nuove esperienze.

Ciò che occorre, da parte dei lavoratori e delle aziende, è una buona dose di flessibilità, una buona apertura mentale e la capacità – di ciascuno – di adattarsi al cambiamento.
In altre parole… occorre sempre più intelligenza emotiva.

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